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OT / Orbis Tertius | La fondazione ontologica del sentire (Carmagnola)
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La fondazione ontologica del sentire. Heidegger e Deleuze lettori di Kant

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Fulvio Carmagnola

La fondazione ontologica del sentire. Heidegger e Deleuze lettori di Kant

 

I.

In una lunga nota di Differenza e ripetizione (1968, tr. it. pp. 111 sgg.) Deleuze riassume le tesi heideggeriane e prende una significativa posizione critica nei confronti del pensatore tedesco. La sua prima osservazione è dedicata ai “fraintendimenti” da parte di Sartre a proposito del negativo. Il punto è questo: che cos’è, a che cosa rimanda il NO di Heidegger nei confronti della metafisica? Non si tratta di una negazione, di un’opposizione, l’Essere versus il Nulla, ma dell’ “essere come differenza”. Su questa linea Deleuze vede Merleau-Ponty più vicino a Heidegger, quando parla di “piega” o “increspatura”.

INCISO – Ricordiamo che Deleuze ritornerà a sua volta sulla figura filosofica della piega molto più avanti, nel libro su Leibniz del 1988.

Questo esordio – al negativo bisogna opporre la differenza – introduce una sorta di succinto ma preciso riassunto delle posizioni heideggeriane. Deleuze sottolinea e ripete in primo luogo che il NO heideggeriano esprime la differenza ontologica tra essere e ente. Ma questa stessa differenza è una piega costitutiva dell’essere stesso. “Differenza ontologica” significa: c’è un movimento di differenziazione, l’essere stesso è differenziante, è l’agente della piega. L’agente della differenza che apre all’ente e insieme (Zwie-falt) vela o si vela.

INCISO – L’anno prima (1967) Deleuze scrive per un manuale di storia della filosofia contemporanea curato da F. Chatelet un breve saggio (“Da che cosa si riconosce lo strutturalismo?”) che resta a tutt’oggi la riflessione più acuta in proposito. E indica tra i “criteri” di riconoscimento “il differenziante, la differenziazione” (“Quarto criterio”, tr. it. p. 41).

Dunque la differenza non è negazione (l’essere non nega l’essente) ma indica piuttosto un piano ontologico che Deleuze definisce “l’essere della domanda”. La domanda è l’essere problematico, si riferisce al reale come campo problematico. La parola problema indica sempre, nell’uso che ne fa il pensatore francese, non un ostacolo da superare ma un campo positivo, un campo di immanenza.

Quarto punto. Deleuze dà atto a Heidegger di porsi, con la questione ontologica della differenza, sulla strada per uscire dalla “metafisica”. Ma che cos’è qui per Deleuze la metafisica? E’ il dominio della rappresentazione, che “subordina la differenza all’identità”. Sono quasi le stesse parole dell’esordio del volume: si tratta di cercare una via d’uscita dal sistema dell’identità e della rappresentazione, una via battuta non solo da lui ma da tutta la generazione di pensatori che fiorisce in Francia negli stessi anni, come è noto, e che ha nell’ Heidegger di “Identità e differenza” (1957) uno dei suoi riferimenti obbligati.

Si tratta di liberare la differenza dalla soggezione, dalla dipendenza rispetto all’identità, ecco il punto. Ora, se la differenza non è il negativo ma: il problematico; il differenziante; la piega, l’operatore – e se questo dice Heidegger a Deleuze – in questa configurazione essa smette di essere un oggetto, l’oggetto della rappresentazione. Non può essere rappresentata, subordinata a un’operazione definitoria, ingabbiata in un “questo”, in un tode ti o resa dipendente dall’identico come il suo “non –“.

INCISO. Adorno e il negativo: il pensiero di Adorno come tentativo di rendere giustizia al non, il non-identico. Dialettica negativa, 1966.

Deleuze definisce questa come “svolta al di là della metafisica”, nella direzione che egli stesso sta elaborando: la differenza non può essere mediata, rappresentata (come il non- dell’identità), insomma superata (Auf-gehoben), riconciliata. Appare in controluce il vero grande avversario, Hegel. La differenza indica un essere-del-problematico, indocile, che non si subordina all’identità e che si presenta come tessuto immanente di pieghe, di processi continui di differenziazione. Un campo positivo.

Scrive Deleuze subito dopo, con esplicito riferimento a “Identità e differenza”: “la differenza non si lascia dunque subordinare all’identico e all’uguale, ma deve essere pensata nello stesso o come lo stesso”.

INCISO – Lo stesso come piega nell’identità che la dissolve: Foucault e il ragionamento sulla formula dell’identità, A=A.

Lo stesso non è l’identico o l’uguale: quello “compone il differente in un’unità originaria”, questo invece, l’uguale, “si disperde nella scialba unità dell’uno semplicemente uniforme”. L’essere, insomma, è un tessuto di pieghe tenute insieme dal loro essere differenti e singolari.

Dove siamo arrivati? Deleuze non ha mai scritto un libro si Heidegger, eppure queste poche righe suonano allo stesso modo, nello stesso tenore della continua rilettura dei grandi filosofi di cui si riappropria: Hume, Bergson, Spinoza, Nietzsche, Leibniz. E anche Kant.

Che cosa sta affermando qui Deleuze attraverso Heidegger? Sta producendo, alle sue spalle e sulla base del suo pensiero, il proprio pensiero. La differenza ontologia è certamente una versione dell’univocità dell’essere, grande tema deleuziano con cui il giovane Heidegger aveva cominciato (1916) e come Deleuze esplicitamente gli riconosce: “Heidegger (…) sta dalla parte di Duns Scoto e infonde nuovo splendore all’Univocità dell’essere”.

Tutte le differenze si compongono, come in un muro di pietre a secco, sul medesimo piano di immanenza. La differenza otologica non nega, l’essente non è un essere-in-meno, un meno di essere, perché l’essere stesso è la differenza degli essenti, un campo differenziale di pieghe. “Noi consideriamo come fondamentale la ‘corrispondenza’ della differenza e della domanda, della differenza ontologica e dell’essere della domanda” (Deleuze p. 112, corsivo mio).

Subito dopo, e nella stessa frase, si apre la seconda parte delle considerazioni di Deleuze, la parte critica, introdotta da una rispettosa clausola dubitativa: “E’ da chiedersi tuttavia se…”. Che cosa è da chiedersi? Di che cosa dubitare? Certo, Heidegger – e si tratta già, comunque, dello Heidegger ri-pensato da chi si pone al suo stesso livello, e non di un semplice esegeta o commentatore – certo, Heidegger ha fatto un passo oltre la metafisica. Ma.

Ecco la questione critica sollevata da Deleuze: Heidegger avrebbe potuto “mettere tra parentesi il (non) di non-essere” invece di “mettere il trattino” all’essere. Semplice scelta tipografica? Ma sappiamo quanto sia importante l’attenzione per gli elementi del significante, per la sua materialità, nel pensiero francese di questo periodo, e naturalmente anche per Heidegger.

INCISO – Deleuze come è noto definisce la filosofia come una attività di invenzione di concetti. In questa attività, l’uso/invenzione delle parole ha una posizione di assoluto rilievo. Si pensi a Derrida, a Lacan, a Foucault. Pensiamo anche a quanta cura sia dedicata a questo aspetto nel titolo dell’ultimo scritto deleuziano: “L’immanenza: una vita…”, al quale Giorgio Agamben ha dedicato una brillante riflessione: un punto, tre punti… (Agamben,   ).

Allora: perché Heidegger “avrebbe potuto…” e invece …? Certo Heidegger sta dalla parte dell’univocità dell’essere. Eppure “ci si domanda se…”. Ci si chiede, Deleuze si chiede, e con questo afferma una distinzione, avanza rispettosamente una critica.

Quale critica? Heidegger forse non è stato abbastanza radicale sulla strada dell’univocità, del superamento della metafisica. E’ la stessa strada di Deleuze, certo, all’insegna della liberazione della differenza dal primato dell’identico e della rappresentazione. L’essere come campo di differenze lascia-essere in modo che i differenti si compongano in unità sullo stesso piano. Eppure.

Come si esprime la critica, e chi indirettamente coinvolge? La critica ha la forma dubitativa della domanda. Forse Heidegger non ha concepito l’essente – il differente – in modo tale da sottrarlo davvero “a ogni subordinazione di fronte all’identità della rappresentazione” (Deleuze, ivi, p. 113).

E perché? Perché se l’essere univoco – l’essere che si dice nello stesso senso per ogni essente, in modo tale che tutti gli essenti stiano, sullo stesso piano di immanenza, alla pari, come pietre accostate in un muro a secco e non cementate dall’identico – se l’essere univoco, in altre parole, riguarda la differenza, il differire, allora, obietta Deleuze, lo stesso essere dovrebbe “ruotare intorno all’essente”. Non c’è altro essere che questo tessuto orizzontale di essenti accomunati e differenziati su un unico piano. Non c’è altro essere se non quello che prende vita nella differenziazione del suo tessuto.

All’essere, per uscire dalla metafisica, va sottratto il non-, il residuo di negatività. La differenza ontologica compare solo nell’operare come differenziante che accomuna gli essenti senza identificarli, rappresentarli. Chi, secondo Deleuze, ha fatto questa operazione e perciò è andato oltre la metafisica è Nietzsche, proprio il filosofo che Heidegger ha posto invece al culmine, al punto estremo, della metafisica.

INCISO – Badiou: ci sono solo essenti…

II.

L’essere come differenziante, come tessuto di pieghe, deve ruotare intorno all’essente, e la differenza è l’operatore ontologico che accomuna tutti gli essenti sullo stesso piano. Dunque l’essere non può essere un NON, non deve recare traccia del negativo. Insomma, così suona la rispettosa critica di Deleuze, ci sarebbe in Heidegger un residuo di negatività non risolto, bisogna procedere sulla stessa strada, ma più radicalmente. E “più avanti”, sulla stessa strada ma non riconosciuto dal pensatore tedesco, c’è l’eterno ritorno di Nietzsche, che per Deleuze è appunto il modo per affermare la differenza come positività. Ciò che ritorna non è il sostrato metafisico, l’identico, ma il differire stesso.

Eppure c’è un altro Heidegger. O meglio, lo stesso Heidegger che esce dalla stesura del grande libro Essere e tempo, e che ne trae le conseguenze. Una delle conseguenze di Essere e tempo è la rilettura di Kant.

Questo Heidegger è molto vicino al percorso di Deleuze. Ciò che interessa è che vi possiamo trovare le basi per una teoria radicale del sentire, una vera e propria fondazione ontologica che Deleuze a sua volta riprenderà. Il Kant heideggeriano trova il suo avversario teoretico nel Kant “epistemologico”, teorico della conoscenza, il cui emblema è la figura di Ernst Cassirer. Come accadrà per Deleuze, anche per Heidegger il Kant ripensato, riletto, diventa un Kant unheimliche. Il lato inquietante di Kant riletto da Heidegger è la presenza dell’ontologia, Kant parla del sentire e dell’essere (come) sentire, questo emerge in Kant e il problema della metafisica, il libro heideggeriano pubblicato due anni dopo Essere e tempo, e nel successivo dibattito di Davos tra Heidegger e Cassirer

 

SEGUE: Heidegger (§II)

Segue: DELEUZE E Kant (§ III)

Conclusione sulla fondazione ontologica del sentire (§ IV)